domenica 20 ottobre 2013

Applause.

Nel sogno, mi sono svegliata con un gran mal di testa. Sognavo di essere addormentata, e poi mi sono svegliata, anche se nella realtà dormivo ancora, un po' come le scatole cinesi. Insomma, mi sveglio per finta con un cerchio alla testa da dopo sbronza, gli occhi impastati e ridotti a due fessure. Mi stiracchio un po', scrocchio il collo - prima a destra, poi a sinistra - mi infilo le ciabatte - prima la sinistra, poi la destra - e mi avvio verso la cucina, con la vaga intenzione di fare prima una puntatina in bagno, anche se alla fine decido di farmi prima un caffé. Guardo la moka avviluppata dalla fiamma bluastra del gas e tamburello sul piano della cucina con le unghie. Vedo una pellicina e me la strappo con i denti. Ovviamente esce una valanga di sangue e io tiro una piccolissima bestemmia, di quelle creative e davvero poco offensive. Il caffé bolle e ribolle, io lo spengo, lo bevo, mi ustiono la lingua, impreco, ridacchio, metto la tazzina nel lavandino. Una giornata come tutte le altre, insomma, non fosse che

non fosse che, dopo la pellicina, la piccolissima bestemmia e l'ustione sulla lingua, vado finalmente in bagno a fare la pipì. Mi siedo, faccio la pipì, rimango un po' lì a guardare instupidita il soffitto e a pensare che s'è bruciata una lampadina e io non ho la minima idea di quanti watt ci vogliano, se è a basso consumo oppure no, poi mi tiro su i pantaloni del pigiama, mi alzo e vado verso lo specchio.
A quel punto mi pare ovvio che non sia una giornata come tutte le altre, perché al posto della testa ho una zucca. Una zucca tonda, grossa, di quelle tipicamente halloweeniane, arancione zucca, una zucca arancione. Rimango a fissarmi con gli occhi intagliati nella zucca. Non urlo, non bestemmio, non impreco. Rimango a guardarmi, mi tocco con la punta delle dita, faccio toctoc sulla cima della zucca, ma non c'è niente da fare. Mi chiedo se ci sia il cervello dentro la zucca o se i miei pensieri adesso siano di natura vegetale, pensieri arancioni e pieni di semini. Mi chiedo dove sia andata a finire la mia faccia, la mia testa, dove siano i miei capelli. Che cosa è successo nella notte? Chi mi ha trasformata in una zucca? Perché? Ma la cosa più buffa è che in realtà non me ne importa molto. E' una bella zucca, in fin dei conti, di un arancione davvero esemplare - credo che il pennarello arancione della Pantone sia di questa esatta nuance, mica per tirarmela - e mi sento stranamente affezionata alla mia zucca. Ovviamente,

quando ci si rende conto che una ragazza ventiduenne generalmente normale, che scrive per qualche rivista, studia, s'è laureata in tempo, ha un fidanzato e vorrebbe un gatto nero, si è svegliata un giorno con una zucca al posto della testa, le mie giornate cambiano radicalmente. Il telefono squilla sempre, e non sono esattori delle tasse, venditori della Vodafone o testimoni di Geova a turbare le mie domeniche mattina, ma giornalisti di Vanity Fair, Times, Huffington Post, persino il New Yorker. Mi ritrovo tutta imbellettata con la mia zucca luccicante a fare servizi fotografici per Vogue, tutti mi amano, gli stilisti fanno a gara per vestirmi, Lancome mi manda una pochette piena di prodotti bio per lucidare la zucca a base di beta carotene. Inutile dire che l'arancione torna prepotentemente nei negozi. Ma il climax deve ancora arrivare. Infatti,

una mattina rispondo al telefono (non pensate sia semplice, con una zucca al posto della testa) e la voce dall'altra parte della cornetta mi dice "Hello, I'm Lady Gaga". E così, da una semplice ragazza ventiduenne generalmente normale, che scrive per qualche rivista, studia eccetera eccetera, mi ritrovo coinvolta nel nuovo tour di Lady Gaga, inguainata in Alexander McQueen, abbarbicata su trampoli di Jimmy Choo, a risplendere di luce propria sotto i faretti micidiali di mille lampade al led di tutti i colori, sotto piogge di coriandoli, lustrini, in un tripudio di arancione (l'ho già detto che è diventato il colore dell'anno?) e applausi - come quelli della canzone. Al telegiornale non si parla d'altro. Nascono gruppi ambientalisti in difesa della zucca. I vegani non vanno più di moda, adesso per la strada ci sono attivisti con fotografie di zucche rotte che inveiscono contro i passanti, chiamandoli criminali per il loro consumo dell'ortaggio. La vendita di gadget per Halloween subisce un tracollo pazzesco. Non fosse che

non fosse che poi mi sono svegliata con un gran mal di testa. Stavolta per davvero. Mi stiracchio un po', scrocchio il collo - prima a sinistra, poi a destra - mi infilo le ciabatte - prima la destra, poi la sinistra - e mi avvio verso la cucina, con la vaga intenzione di fare prima una puntatina in bagno, che poi è quello che faccio veramente. Prima ancora di fare la pipì e mettermi a guardare instupidita il soffitto, le lampadine, i watt eccetera eccetera, mi guardo allo specchio. La mia faccia è ancora lì, con due belle occhiaie che circondano gli occhi come quegli insiemi che ci facevano disegnare alle elementari. Nessuna intersezione. Suona il telefono. Rispondo. Mi chiedono del mio piano tariffario. Non è Vanity Fair.

domenica 6 ottobre 2013

Un biglietto di sola andata

Mi alzo senza far rumore. Il quadrante del mio orologio segna le tre e mezza. E' notte fonda e fuori c'è un silenzio irreale, spaccato ogni tanto solamente da qualche sinistro fruscio. Il bosco è immerso nell'ombra e a illuminare i miei piedi scalzi c'è solo la luce del lampione che filtra dalla finestra. Esco fuori così, in pigiama, senza scarpe. Fa freddo e al contatto con i gradini di pietra della scala la mia pelle si riduce in tante minuscole capocchie di spillo. Quando raggiungo il prato l'erba bagnata mi solletica la pianta dei piedi e mi confonde: sarà un sogno anche stavolta?
Sembra una fotografia. Il lampione vomita una luce pallida e malata, di quel giallo verdastro che a volte prende il tuorlo dell'uovo quando rimane troppo nell'acqua che bolle. Si riversa sulla macchina parcheggiata lì sotto, tra ciuffi d'erba e qualche pietra muschiosa. Non si vede l'interno, i vetri sono coperti di brina. Il mio respiro si condensa in nuvolette dolciastre che sembrano non volersi staccare dalle mie labbra screpolate. Mi sembra che mi sanguini la gengiva, sento sapore di ruggine sui denti. Ci passo sopra la lingua per essere sicura che siano ancora lì, che non sia uno di quei sogni in cui mi metto a sputarli, bianchi e lucidi corpi estranei che allineo sul palmo della mia mano prima di risvegliarmi sudata, con le tempie che pulsano. Sono ancora tutti lì in fila, da bravi soldatini. Ora posso finalmente rivolgere la mia attenzione alla macchina.

Capisco che devo entrare, anche se non ne ho voglia. Mi sembra che dentro ci sia qualcosa che cerca di uscire a tutti i costi, mi sembra che l'aria sia diventata improvvisamente troppo piena. Avvicino la mano sulla maniglia e mi sembra di avvertire un battito, come se stessi stringendo un polso pieno di vene. La apro e mi infilo nel sedile del passeggero, poi richiudo la portiera.
Dietro di me non si vede nulla. Un ragno ha tessuto una ragnatela intricatissima, una matassa bianca che ha avvolto ogni cosa e ricamato merletti astratti nell'aria, aggrappandosi ad ogni angolo e creandone di nuovi dove non era riuscita a incontrarne, saturando lo spazio e ingoiando l'ossigeno. E' bellissimo e bruttissimo allo stesso tempo. So che è ancora lì, sento le sue zampette arrampicarsi in un angolo imprecisato della macchina e so con certezza che avvolgerà anche me, ma non mi va di andarmene. Non ho paura, ma solo un senso di nausea. Il sapore di ruggine si fa sempre più forte. Sputo sul cruscotto e un liquido nerastro cola dalle mie labbra. Arriccio il naso: è inchiostro. Fisso affascinata la macchia disegnare ghirigori sulla plastica e penso che chi è dotato di un eccessivo senso estetico è destinato a soffrire, soffrire per le cose belle perché sembrano scoppiarti nel petto, sembrano falchi dagli artigli acuminati pronti a farsi strada dalla tua cassa toracica tagliando tutto quello che incontrano, e soffrire per le cose brutte, perché racchiudono in sé una forma di bellezza che invece di sbocciare è appassita in silenzio prima del tempo. Un biglietto di sola andata verso la tristezza.

Mentre penso questo, il ragno ha già intessuto la sua tela attorno alle mie gambe e mi sta imprigionando lentamente. Non mi importa, chiudo gli occhi, rilasso i muscoli, passo la lingua sui denti: sì, questa notte ci sono ancora tutti.