martedì 19 novembre 2013

Horror vacui

Non riesco a respirare.

Nel sogno non riesco a repirare, anche se è probabile che stia boccheggiando anche nella realtà; mi immagino a bocca aperta, le labbra aride e in tensione, il petto che si affanna come un animale braccato. Nel sogno sono stesa su un pavimento freddo, lo sento sulla schiena, liscio e gelido come l'alito di un morto. Mi ci vuole qualche minuto per rendermi conto che non sono semplicemente distesa, ma letteralmente inchiodata al suolo, crocifissa alla forza di gravità. Riesco in qualche modo ad alzare la testa e guardarmi la mano destra: al centro del palmo c'è un chiodo d'argento. Niente ruggine, niente sangue: una perfetta operazione chirurgica.

Abbasso la testa e mi sforzo di respirare. Non andare in panico. Non farti prendere dalla nausea. Se vomiti adesso è finita. Serro le palpebre e, su uno sfondo rossastro venato di nero, ballano scomposte centinaia di stelline luminescenti. Con un po' di immaginazione, sembrano tanti girini su un fondale d'argilla. Cerco di mettere ordine nel caos delle sensazioni che mi affollano mente e corpo. Disgusto, prima di tutto. Paura, certo. Dolore? No, non penso sia dolore. Se sto ferma, non avverto le ferite; non accuso la posizione innaturale in cui mi trovo.

Mi rendo conto di avere sete, una sete incredibile. Sopra di me c'è solo una grande luce bianca. Dove mi trovo, proprio non so dirlo. Perché mi trovo qui? Non lo so, non so nemmeno questo. Mi sembra che in un attimo tutto quello che ho imparato nella vita non conti più niente. Cosa me ne faccio dei libri, delle addizioni, delle radici quadrate, adesso che sono intrappolata in un posto che non conosco, senza la minima idea di chi mi ci abbia costretta?

Sento un fruscio sulla coscia. Cerco di alzare la testa di nuovo. Lo sforzo mi costa una fitta al collo. Cerco di mettere a fuoco il mio corpo abbandonato al pavimento e vedo un grosso ragno nero sulla mia gamba. Si muove con agilità, sembra che danzi. Ringrazio Dio di avere solo due gambe - il supplizio insensato della crocifissione mi sembra eccessivo per quattro arti, figuriamoci otto. Non mi fa paura. Mi chiedo solo cosa voglia da me; mi attraversa l'idea che forse voglia intrufolarsi al mio interno, farsi spazio nella mia bocca per risalire nella testa e annidiarsi lì, costruendo una ragnatela attorno al mio cervello. Al pensiero vengo colta da un conato. Serro le labbra e comincio a pregare qualche dio sconosciuto di liberarmi da questo supplizio. Ti prego, per favore, ti scongiuro.

Poi ad un certo punto mi ritrovo seduta. Sulle mie mani non ci sono segni dei chiodi. Me lo sono immaginato? Sono in una stanza bianca, su una sedia bianca. Davanti a me, sul pavimento, sta un vaso di vetro. Dentro al vaso, sta il ragno. Si arrampica sulle pareti e poi ricade sul fondo. Sembra furioso. Ripete il gesto meccanicamente mille volte. Lo ripeterà finché le zampe cederanno una dopo l'altra. Provo allo stesso tempo repulsione e attrazione per quell'essere intrappolato. Prendo in mano il vaso, lo scuoto: il ragno cade sul fondo e cerca di rimettersi in piedi. Mi chiedo se sia il caso di liberarlo oppure no - poi penso al mio cervello, alla ragnatela, alle sue zampe sulla mia pelle. Appoggio il vaso al suolo e me ne vado.

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