mercoledì 4 dicembre 2013

David Foster Wallace e il Muro di Berlino





È
una mattina tanto impregnata di noia che quasi facciamo fatica a galleggiare. Parlo al plurale perché non sono sola: seduto accanto a me sta David Foster Wallace. In testa ha la sua tipica fascia da tennis, i capelli avrebbero bisogno di una lavata, il sorriso è un po’ sornione. Mi chiedo se si sia appena fatto una canna. Tra le mani stringe la mia tazza preferita dell’Ikea con una bustina di tè verde immersa nell’acqua bollente.
Io mi lamento. Vorrei avere un naso diverso, mi sono stufata del mio. Ieri sera mi sono guardata allo specchio e mi sono resa conto di non volere più il mio naso, ma che ci posso fare? Mica lo posso impacchettare e rispedire al mittente. “Mi sa che me lo devo tenere” dico a David con aria funerea, mentre smanetto sul portatile.

Lui sbuffa. Appoggia la tazza sul pavimento e dal nulla, con una mossa da prestigiatore, tira fuori una valigetta di cuoio marrone. La apre e – meraviglia! Allineati uno dietro l’altro, come piccoli soldatini in attesa, stanno nasi di diversa fattura: grandi, piccoli, aquilini, appuntiti, ce n’è per tutti i gusti. Dei piccoli nastrini li tengono fermi. Rimango a fissare affascinata il contenuto della valigetta e ringrazio David. Lui mi guarda con un sopracciglio alzato. “Senti, non è che voglia farmi gli affari tuoi, ma non è tanto bello che tu voglia cambiare naso. Hai un bel naso. Poi nella vita bisogna imparare ad accettarsi, non è che puoi sempre avere quello che vuoi, lo diceva anche Mick Jagger. Che ne sai che magari un giorno ti sveglierai e rimpiangerai il tuo vecchio naso? Sei cresciuta con lui. E poi te la ricordi la storia del naso di Kovalev, quella di Gogol? Che faresti se fosse il tuo naso a stufarsi di te?”

Stavolta sono io a sbuffare. Continuo a guardare i nasi, li sfioro con la punta delle dita. Sono morbidi. Mi ricordano dei tortellini. “Secondo te quale mi starebbe meglio?” gli chiedo sognante.
In quel momento si accende la televisione. Si accende proprio da sola, come nei film horror, solo che è mattina quindi non ci impauriamo più di tanto.
C’è un’edizione speciale del telegiornale. Le immagini sullo schermo ci mostrano tafferugli, persone con picconi intente a spaccare un muro. Tirano giù i mattoni, passano da una parte all’altra del muro, lo scavalcano, si abbracciano, piangono. Una voce fuori campo ci informa che è stato appena abbattuto il Muro di Berlino.
“Ma cosa dicono! Il Muro di Berlino è già caduto” dico un po’ infastidita. David sorride con l’aria di chi pensa che sei un completo idiota.
“E che vuol dire, scusa. Il tuo ragionamento fa acqua da tutte le parti. Tu non sei mai caduta? Questo vuol dire che non puoi cadere di nuovo?”
Mi sto innervosendo. Ma che dice questo? E meno male che lo osannano come una delle menti più brillanti del Novecento. Wittgenstein deve avergli dato alla testa.

In quel momento suonano il campanello. David sobbalza e con il piede rovescia la tazza sul pavimento. Lo guardo in cagnesco e vado ad aprire la porta di casa. Mio papà è sulla soglia, sorridente. Ha in testa un berretto color sabbia e sulla spalla una canna da pesca inguainata in una custodia nera.
“Ho pensato di chiederti se ti andava di andare a pescare per festeggiare.”
“Festeggiare cosa?”
“La caduta del muro di Berlino!”
Dalla mia stanza, arriva una voce soffocata.
“Che fai, allora, questo naso lo vuoi o non lo vuoi?”

Mi sveglio.

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