giovedì 12 dicembre 2013

Lilac Wine


Sono nella casa di un uomo che non ho mai visto, eppure mi sembra di conoscerlo benissimo. Non ne sono sicura ma ne avverto il sentore; sembra quasi un retrogusto amarognolo sulla lingua. È in cucina e sta tagliando una grossa cipolla bianca in minuscole fettine, che si abbattono sul tagliere di legno l’una dopo l’altra senza fare rumore. Il coltello che tiene in mano è grande e affilato e la lama riflette il globo del lampadario. A un certo punto, l’ultima fettina di cipolla si tinge di rosso. L’uomo s’è tagliato un dito e adesso mi guarda. Il mio sguardo corre dai suoi occhi alla bolla di sangue che si sta formando sul polpastrello. Penso a come sarebbe sfiorarla di un millimetro e disfare l’equilibrio precario della superficie scarlatta.
-Vai in salotto mentre finisco di cucinare, mi stai distraendo, è colpa tua
mi dice, e io mi alzo in silenzio. In salotto, di fronte al divano, c’è un armadio nero. Un’anta è socchiusa. Mi avvicino e lo apro. Davanti a me si dispiega una serie di coltelli dal manico d’acciaio di varie dimensioni. Cerco di abbracciarli tutti con lo sguardo ma non ci riesco. Immagino come devono sembrare minuscoli riflessi nell’oscurità della mia pupilla e rabbrividisco. Dalla cucina, sento il rumore delle cipolle lasciate a soffriggere in agonia nell’olio bollente. Mi viene improvvisamente la nausea. Devo vomitare. Apro la porta di quello che penso sia il bagno e, non appena la richiudo, mi rendo conto di non essere più nella casa di prima.

Davanti a me si srotola una strada statale fiancheggiata da tronchi d’albero bruciati, reduci senza dubbio da un incendio devastante. I loro monconi cercano di protendersi il più possibile verso il cielo, neri come il carbone, ma il risultato è grottesco. La nebbia li inghiotte uno ad uno. La riga bianca spartitraffico che parte dai miei piedi si perde dopo pochi metri. Fa freddo, e io mi accorgo di non avere addosso altro che un leggero vestito estivo. Rabbrividisco e mi stringo in un goffo abbraccio. Penso – Sono sola. Ma non è vero.
Mi bastano pochi passi per incontrare una donna.
È seduta sul ciglio della strada e sulle labbra porta un rossetto di un rosso così acceso che mi dà le vertigini. Mi sembra una cosa così oscena che sono costretta a distogliere lo sguardo per un attimo, prima di analizzarla. È giovane e bella. È bionda, ha lo smalto scheggiato sulla punta delle dita e stringe tra le mani una borsetta di cuoio. Attorno agli occhi ha due cerchi nerastri, non capisco se l’abbiano picchiata o se non dorma da giorni. Di punto in bianco apre la bocca e sospira: le labbra rosse si dischiudono e noto che uno degli incisivi è rotto in un angolo. Non so perché, ma quel particolare mi turba più del colore del rossetto. Un brivido mi corre dalla nuca alla fine della colonna vertebrale.

-Chi sei?
dico. Lei mi guarda appena e si porta un dito alle labbra nel gesto del silenzio.
-Sta morendo
mi dice, indicando un punto davanti e sé. Riesco a distogliere un attimo lo sguardo dalla sua bocca e a guardare in direzione del suo dito. Accucciato sul cemento, in mezzo alla strada, sta un piccolo cerbiatto.
È quasi immobile, non fosse per il petto che, impercettibilmente, si muove su e giù. Ha gli occhi neri spalancati e riesco a sentire la sua paura come spilli sulla pelle. Mi sembra che il sangue nelle vene scorra più denso del solito.
-Cosa gli è successo?
-L’hanno ferito, non c’è più niente da fare. Tra qualche ora sarà morto.
La ragazza si accende una sigaretta. La fiamma dell’accendino le illumina il viso per un secondo, poi rimane solo la punta arroventata della sigaretta. Vengo presa da un irrefrenabile scatto d’ira.
-E tu te ne stai qui senza fare niente? Lo guardi morire?
Lei mi guarda con l’indifferenza negli occhi.
-A volte non c’è proprio nient’altro da fare che guardare le cose morire.
La nausea ritorna. Il cerbiatto mi guarda, come se potessi fare qualcosa per salvarlo. Sono troppo vigliacca per ucciderlo. Mi tremano le mani, reprimo un conato.

Poi, all’improvviso, sento una voce dietro di me mi chiama.
-
È pronto, puoi venire in cucina adesso.
Mi giro e mi ritrovo di nuovo nel salotto. Del cerbiatto e della ragazza bionda, non c’è più alcuna traccia.
L’uomo mi guarda con la testa inclinata verso destra. Mi porge un calice di vino denso e di un rosso troppo acceso. Conosco quel colore: l’ho visto pochi istanti fa sulle labbra di quella ragazza.
-Hai fame?
Annuisco.

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